13 VOCI 2015 1

 Nuvola2017

 

VOCI
Rivista di Scienze Umane

Direttore: Luigi M. Lombardi Satriani
Direttore: Antonello Ricci
Direttore Responsabile: Walter Pellegrini
Comitato Scientifico: José Luis Alonso Ponga, Jean-Loup Amselle, Marc Augé †, Antonino Buttitta †, Francesco  Faeta, Abdelhamid Hénia, Michael Herzfeld, Lello Mazzacane, Isidoro Moreno Navarro, Marino Niola, Mariella Pandolfi, Taeko Udagawa
Comitato di direzione: Antonello Ricci (coordinatore), Enzo Alliegro, Katia Ballacchino, Letizia Bindi, Laura Faranda, Mauro Geraci, Fiorella Giacalone, Fulvio Librandi, Maria Teresa Milicia, Rosa Parisi, Gianfranco Spitilli. 
Direzione e redazione: Dipartimento di Storia, Antropologia, Religioni, Arte, Spettacolo “Sapienza” Università di Roma, Piazzale Aldo Moro 5, 00185 Roma 
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Coordinamento editoriale: Marta Pellegrini
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Editoriale

 

Biblioteca
A cura di Antonello Ricci

 

Le quattro volte di Michelangelo Frammartino:
un caso di etnografia profilmica
Maria Faccio 15

La fotografia come descrizione densa. Antropologia, fonti e documenti
Francesco Faeta 28

Collaboration in/through Ethnographic Film: A Conversation
Steven Feld, Antonello Ricci 44

Corpo e tecnologia nel film etnografico: la videocamera da strumento a corpo intraneo
Francesco Marano 57

Non più museo. L’originale e la copia nell’epoca della riproducibilità digitale
Lello Mazzacane 75

Considerazioni sulla mediazione della parola in antropologia filmica
Silvia Paggi 95

Immagini dalla “zona di contatto”. Le fotografie della spedizione italiana al Rwenzori (1906)
Cecilia Pennacini 109

Etnografia, cinema, memoria, narrazione: percorsi di ricerca
Antonello Ricci 135

 

Passaggi

 

Antropologia visiva in Sicilia: a colloquio con Antonino Buttitta
Francesco Faeta 157

 

Miscellanea

 

Migración, integración, participación: estrategias de desarrollo local. El caso de la comunidad búlgara en Valladolid
Alberto Alonso Ponga García, María Jesús Pena Castro 131

La memoria della Terra: geoscape e poetica dell’Antropocene in un parco naturale italiano
Andrea Benassi 174

Le figure che guariscono. Uso terapeutico e protettivo dei santini
Vincenzo M. Spera 189

 

Camera oscura

 

Nascita e morte tra gli acioli. Fotografie di Renato Boccassino, 1933-1934
Antonello Ricci 211

Renato Boccassino. Un profilo biobibliografico
Maurizio Coppola 213

Il fondo Boccassino dell’Istituto centrale per il catalogo e la documentazione: un’introduzione
Elena Musumeci, Laura Petrone 220

Le fotografie di Renato Boccassino della spedizione tra gli acioli in Uganda: prime considerazioni
Antonello Ricci 301

Fotografie 1933-1934
Renato Boccassino 241

 

Si parla di...

 

Un’italiana in Messico: riflessioni sulla vivacità accademica d’oltreoceano
Valeria Bellomia 241

Archivi della memoria e letteratura francese
Maria Luisa Cappello 306

MAV 2014. Materiali di Antropologia Visiva, 27-29 novembre, Roma-Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari
Maria Teresa Milicia, 311

When the network captures the regime. Assessing the role of the social networks in the Euromaidan protests in Kiev, in the press and in the Ukrainian social research
Tamara Mykhaylyak 318

Meridione e ricerca antropologica nell’opera di Luigi Di Gianni
Gianfranca Ranisio, 325

San Gennaro e l’identità napoletana
Gianfranca Ranisio 331

Due rappresentazioni della fotografia: Sebastião Salgado, Henri Cartier-Bresson
Antonello Ricci 336

Il Museo di Vie e Storie a Vicovaro (RM)
Elisabetta Silvestrini 342

 

Recensioni 348

 

Notiziario 360

Monografica

Biblioteca

Il numero di “Voci” che il lettore ha in mano è dedicato, nella sua parte monografica curata da Antonello Ricci, a Etnografie visive nella ricerca antropologica contemporanea: cinema, video, fotografia, realtà virtuale.
Alla redazione e a me come direttore della rivista è parso il caso di dedicare tempo e riflessioni per far emergere quali siano oggi la collocazione e il ruolo delle forme visive in etnografia. Scorrendo il sommario, l’articolo di Maria Faccio ci mostra come oggi sia mutato lo scenario delle investigazioni etnografiche andando a comprendervi un set cinematografico alla ricerca dei percorsi di riflessione e di approccio filmico seguiti, nel caso specifico, dal regista Michelangelo Frammartino – un autore di profonda sensibilità antropologica – nella realizzazione del suo film Le quattro volte: un’originale e personale lettura della cultura contadina e pastorale della Calabria colta nei suoi aspetti più arcaici e lontani nel tempo. Francesco Faeta – il cui impegno più che quarantennale nella pratica etnofotografica, nella ricerca e nell’elaborazione di un metodo di lettura e di studio dell’immagine fotografica è attestato da un’approfondita e continuativa produzione saggistica – ci offre una sollecitante riflessione sul tema della fotografia come “descrizione densa” di geertziano riferimento: il testo, condotto dall’autore con il consueto rigore critico, affronta il tema della fotografia come documento e come fonte. La conversazione tra Steven Feld e Antonello Ricci ci conduce di nuovo nello spazio dell’immagine in movimento; argomenti della conversazione sono i filmati realizzati da Feld, antropologo del suono e della musica, a partire dal 2004 nel corso di un suo lungo soggiorno di ricerca in Ghana, mettendo in atto un’etnografia partecipativa e collaborativa con un gruppo di musicisti, fotografi, video-autori. La testimonianza dell’antropologo americano ci offre un ricco bagaglio di osservazioni sulle sue idee di dialogic editing e di dialogic auditing che affondano le radici nel magistrale esempio di Jean Rouch. Le riflessioni di Francesco Marano vertono intorno al rapporto fra corpo e tecnologia. L’autore propone due percorsi paralleli e dialoganti fra evoluzione e miniaturizzazione degli apparati tecnologici e sviluppo di una sempre più consapevole e dilatata sensorializzazione della visione: dallo sguardo oggettivante di tipo positivistico si giunge, oggi, a una prospettiva “ecologica” che intreccia dialogicamente chi fa le riprese con chi è ripreso e con l’ambiente circostante. Il saggio di Lello Mazzacane – il cui percorso scientifico pluridecennale è stato caratterizzato, oltre che da una notevole e spesso innovativa produzione saggistica, da una continua tensione all’individuazione e sperimentazione dei linguaggi audiovisivi e delle tecnologie – ci conduce nel contesto della metarealtà museale entro cui, oggi, le prospettive dell’antropologia visiva offrono un contributo rilevante all’innovazione dei linguaggi e delle forme della rappresentazione. Esso riporta il resoconto critico di un complesso lavoro di allestimento del Museo Ercolanense in cui l’autore è stato impegnato: il continuo gioco tra verità e finzione delle immagini apre a un vasto e stimolante panorama di riflessioni sulla realtà e sulla sua messa in scena. Il testo di Silvia Paggi riporta l’attenzione all’antropologia filmica e offre interessanti considerazioni a partire dalle concrete esperienze sul campo dell’autrice, la cui attività di ricerca e le cui riflessioni teorico-metodologiche si sono sviluppate di pari passo a un’intensa pratica di cinema etnografico. Tema del saggio è una delle questioni molto dibattute nella cinematografia scientifica: l’uso della parola e, più in generale, del parlato come veicolo, supporto, complemento e mediazione dei contenuti esposti con le immagini. Cecilia Pennacini offre al lettore il resoconto di un sorprendente e avventuroso viaggio d’inizio Novecento alla “scoperta” dell’Africa: la spedizione di Vittorio Amedeo di Savoia duca degli Abruzzi alla conquista della vetta del Rwenzori. Il Duca è accompagnato, tra gli altri, da Vittorio Sella, membro di una famiglia dell’alta borghesia di Biella, che realizza un reportage fotografico dell’intero viaggio, offrendo un resoconto per immagini – una selezione delle quali accompagna il testo – i cui tratti si discostano radicalmente dal modulo dell’antropologia visiva dell’epoca sottoposto al paradigma razziologico e antropometrico. Il testo di Antonello Ricci riguarda una ricerca filmica di lunga durata volta a raccogliere la storia di vita di un pastore calabrese. Il testo si sviluppa intorno ai temi della memoria e della narrazione colti con un approccio di etnografia dialogica e partecipativa, che richiamano gli argomenti della conversazione dell’autore con Feld, e restituiti mediante un’utilizzazione critica del montaggio cinematografico, in grado di rappresentare il meccanismo di rielaborazione del ricordo e la struttura complessa del racconto orale.
Come di consueto nella rivista sono presenti anche altri contributi. Un articolo di Alberto Alonso Ponga García e di María Jesús Pena Castro pone l’attenzione su emigrazione, integrazione e partecipazione nel contesto della comunità bulgara a Valladolid, Spagna; Andrea Benassi si sofferma sul tema dell’Antropocene studiato attraverso le pratiche messe in atto in un parco naturale italiano. Si tratta di un argomento di grande attualità nel dibattito scientifico internazionale a largo raggio a comprendere un fascio di relazioni tra esse dialoganti e interconnesse di tipo storico, geologico, geografico, antropologico, del patrimonio per citarne soltanto alcune; un richiamo al tema monografico è proposto da Enzo Spera con un articolo denso e ricco di spunti etnografici sull’uso terapeutico delle immagini sacre che, tra le altre modalità d’uso, vengono mangiate.
La sezione “Camera oscura”, un appuntamento fisso della rivista, propone in questo numero uno studio sulle fotografie scattate da Renato Boccassino durante la sua ricerca sul campo in Uganda tra il 1933 e il 1934. I materiali di ricerca e di studio dell’etnologo piemontese sono stati donati dalla figlia nel 2006 all’Istituto centrale per il catalogo e la documentazione (ICCD). Oggi per la prima volta viene pubblicata una selezione delle centinaia di fotografie scattate in quell’occasione. Le immagini sono corredate da tre saggi critici: un inquadramento bio-bibliografico di Maurizio Coppola, una prima ricognizione del Fondo Boccassino dell’ICCD di Elena Musumeci e Laura Petrone, un primo studio di Antonello Ricci sulle fotografie. Temi della selezione delle immagini pubblicate sono la nascita e la morte tra la popolazione acioli così come sono rappresentate negli scatti di Renato Boccassino.
Chi, come me e tanti altri, ha conosciuto, incontrandolo più volte, questo illustre studioso ha potuto verificare direttamente la cura che dedicava alle funzioni da lui via via svolte; componente della commissione valutativa del mio concorso a cattedra, volle scrupolosamente analizzare le pubblicazioni presentate e mi telefonò più volte convocandomi a casa sua “per chiarimenti”. Nel corso di questi ripetuti colloqui Boccassino manifestò stima per i miei scritti comunicandomi però che non poteva darmi il suo voto favorevole perché “ero marxista”; lo stesso mi ripeteva per Clara Gallini, anche lei concorrente per la cattedra universitaria, Boccassino diceva che la Gallini era brava, ma che non poteva darle il voto perché “era marxista”. Sono dettagli minimi, questi, ma testimoniano come uno studioso di grande acutezza, fra i pochi che avevano seguito i corsi di padre Schmidt e di altri importanti nomi dell’antropologia europea, fosse condizionato, e in qualche maniera ingabbiato, dall’ossequio alla Chiesa cattolica e a un cattolicesimo conservatore.
La sezione “Passaggi” riporta un colloquio, a cura di Francesco Faeta, con Antonino Buttitta di grande interesse perché testimonia la funzione a questo riguardo svolta da uno studioso che ha molto operato per la formazione dell’antropologia visuale, in qualità di organizzatore di convegni, di incontri specifici, di colloqui con altri antropologi esperti del settore, promotore del decentramento a Palermo del Corso di documentario del Centro sperimentale di cinematografia.
Negli anni Ottanta un gruppo di studiosi – tra i quali Buttitta, io stesso e altri – demmo vita a un’associazione di antropologia visuale, con atto notarile regolarmente registrato. Venni eletto presidente, mentre la funzione di segreteria venne affidata a Rita Cedrini. Elaborai, successivamente, un articolato programma che prevedeva, tra l’altro, la pubblicazione di una rivista dedicata a questo ramo dell’antropologia. Buttitta nel corso di una successiva riunione comunicò con legittima soddisfazione di aver trovato il finanziamento per la rivista; nell’ambito del comitato direttivo, però, vi fu chi espresse perplessità e avanzò cautele, sottolineando che dovevamo preliminarmente verificare se fossimo d’accordo rispetto a tale iniziativa. Irritato, a mio avviso giustamente, da questo eccesso di zelo, Buttitta canalizzò il finanziamento ottenuto sulla pubblicazione di “Nuove Effemeridi”, un altro periodico da lui diretto. Ricordo tutto questo perché mi sembra utile ribadire come molte volte la storia delle nostre discipline subisce ritardi e attardamenti anche perché nel nostro stesso ambito si sviluppa un’inutile, anzi dannosa, conflittualità interna. Per quanto riguarda l’antropologia visuale mi rammarico di tutto ciò perché l’attenzione a essa ha caratterizzato per decenni il mio itinerario scientifico e accademico. Sul finire degli anni Sessanta partecipai con Annabella Rossi, Diego Carpitella, Michele Risso e Luigi Di Gianni a una serie di sopralluoghi conoscitivi a Serradarce, in Campania, dove operava una maga, Giuseppina Gonnella, che ogni mattina, alle ore 8,32, introiettava ed era posseduta dall’anima del beato Alberto, un giovane seminarista nipote della stessa Giuseppina, morto per un incidente provocato involontariamente da un altro zio. Mentre noi studiosi osservavamo le diverse fasi del rituale magico-religioso, Di Gianni le filmava seguendo, a volte, anche nostre indicazioni, e producendo così uno dei suoi filmati (Nascita di un culto, 1968), tra le migliori realizzazioni del documentarismo antropologico italiano. Tra queste sono senz’altro da annoverare anche le opere di Vittorio De Seta, cui sono stato legato da vincoli di salda amicizia: sui suoi documentari mi sono soffermato criticamente in numerose occasioni, tra le quali, per esempio, le giornate organizzate in onore del regista siculo-calabro dalla Regione Siciliana nel 1995 (si veda il volume Il cinema di Vittorio De Seta, 1996).
Con Annabella Rossi, appassionata e rigorosa ricercatrice e grande fotografa, iniziai anch’io a fotografare, seppure non con continuità; mi faceva piacere collegarmi, sotto questo riguardo, all’attività di fotografo amatoriale di mio padre, Alfonso, che tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento produsse un notevole insieme di fotografie di familiari e di persone presenti comunque nella dimensione domestica del Casato (si veda il volume Sguardo e memoria. Alfonso Lombardi Satriani e la fotografia signorile nella Calabria del primo Novecento, a cura di F. Faeta e M. Miraglia, 1988), giuochi e rituali del nostro paese natale, San Costantino di Briatico (VV), mostrando una spiccata sensibilità antropologica come è stato testimoniato, tra gli altri, dal fratello Raffaele che espresse la sua gratitudine per le sollecitazioni e gli stimoli continui a lui rivolti nel corso della realizzazione della sua monumentale Biblioteca delle tradizioni popolari calabresi.
A metà degli anni Settanta, assieme a Lello Mazzacane, iniziai una lunga ricerca sui rituali settennali di penitenza di Guardia Sanframondi, in provincia di Benevento, chiamando a collaborare altri studiosi (G. Ranisio), studenti (Campanino, Mayopher) e altri operatori culturali (V. Recchia e G. Turi, quest’ultimo avrebbe dovuto firmare la regia del filmato che avevamo in progetto di realizzare) che seguivano le attività didattiche e di ricerca della cattedra di Antropologia culturale da me tenuta nell’Università “Federico II” di Napoli. Ritenendo che non si potessero comprendere i complessi significati di questi rituali – tesi a impetrare la pioggia, essenziale per l’attività produttiva sostanzialmente vinicola del territorio – se alle riprese dell’evento non si fossero accompagnate quelle relative a tutte le altre cadenze festive e alle diverse fasi dell’attività economica, effettuammo una serie di soggiorni sul terreno con riprese delle diverse situazioni; mostravamo agli stessi intervistati quanto via via girato e filmavamo le loro notazioni e i loro commenti, in modo che il tutto fosse anche una sorta di “autocoscienza della comunità”. Il filmato si articolava in cinque puntate: aveva un’introduzione di carattere generale e, puntata per puntata, una premessa critica specifica. Il tutto, nonostante fosse stato finanziato dal settore Ricerca e sperimentazione della Rai, non fu mai trasmesso e la stessa Rai, in occasione di una successiva scadenza dei riti settennali, inviò una nuova troupe, senza il supporto di studiosi, per documentare ciò che aveva già nei suoi archivi.
Nel 1974 scrissi con intensa partecipazione un contributo al volume Perché le feste. Un’interpretazione culturale e politica del folklore meridionale realizzato da Lello Mazzacane, con un intervento di Goffredo Fofi, edito da Savelli; a distanza di un anno scrissi, con non minore interesse, un saggio nel volume Sfruttamento e subalternità nel mondo contadino meridionale di Pino De Angelis, Francesco Faeta, Marina Malabotti e Salvatore Piermarini, anch’esso edito da Savelli; verso la fine degli anni Settanta, come titolare della cattedra di Storia delle tradizioni popolari dell’Università di Messina, chiesi e ottenni dalla Regione Calabria un apposito finanziamento per una mostra fotografica su Melissa progettata da Faeta, Malabotti e Piermarini ai quali girai, com’era giusto, le risorse perché tale iniziativa venisse a compimento: cosa che venne realizzata riscuotendo notevole successo sia in Italia che in altri paesi; ricordo soltanto l’entusiasmo con il quale venne accolta nei circoli calabresi svizzeri quando con i curatori della mostra andammo a Zurigo per presentarla ufficialmente. Alla fine degli anni Settanta coordinai un gruppo di studiosi (R. Gasparro, G. Simonelli, V. Teti, G. Venturelli) per un’indagine che portò alla realizzazione di alcune parti di un programma televisivo a puntate intitolato Teatro popolare con la regia di Toni De Gregorio, trasmesso dalla Rai nel 1979. Sul finire degli anni Settanta e nei primi anni Ottanta diedi, su richiesta di Vito Teti, la supervisione scientifica a una serie di documentari antropologici su feste e rituali della Calabria realizzati da Teti, in qualità di programmista regista, per conto della sede calabrese della Rai. Negli stessi anni fui consulente scientifico per una serie di documentari che con il titolo Feste, farina e forca venne realizzata da Giuseppe Mantovano e Sergio Spina e proiettata dalla Rai.
Dalla metà degli anni Settanta avviai una fitta collaborazione, come consulente scientifico, con Maricla Boggio, drammaturga e regista di intensa sensibilità antropologica, che nel 1975 realizzò un filmato dal titolo Marisa della Magliana; nel 1978 realizzammo insieme e con un’équipe di antropologi da me coordinata e composta da Francesco Faeta, Mariano Meligrana e Vito Teti, il film L’assenza del presente su una comunità marginale delle Serre calabresi, diviso in due parti Il passato persistente e Il futuro inattuato, per conto della Rai e proiettato a diversi convegni, in sedi universitarie e al Centre Pompidou di Parigi. La ricerca da cui scaturiva il film è stata pubblicata per la Cassa di Risparmio di Calabria e di Lucania presso l’editore Marsilio nel 1981. Sempre nel 1981 realizzammo la serie televisiva in cinque puntate Farsi uomo oltre la droga per il centro sulle tossicodipendenze di don Mario Picchi. Nel 1987 girammo, per conto della Rai, il film Natuzza Evolo il primo documentario nel quale la veggente di Paravati, in provincia di Vibo Valentia, accetta di essere ripresa e di parlare della sua attività. Il filmato, per quanto trasmesso in tarda serata, ebbe un enorme successo, potenziando a dismisura l’afflusso di pellegrini e devoti presso la mistica di Paravati; questo lavoro è stato presentato più volte in sedi universitarie quali la “Sapienza” Università di Roma, l’Università della Calabria, l’Università “Federico II” di Napoli, la Pontificia Università Urbaniana di Roma, in sedi di organizzazioni culturali come la F.I.D.A.P.A. a Lamezia Terme e in numerose altre occasioni; ancora oggi diverse trasmissioni televisive nazionali lo ripropongono. Il testo del filmato, con l’aggiunta di alcuni dei dibattiti più significativi seguiti ad alcune proiezioni è stato da noi pubblicato nel volume Natuzza Evolo: il dolore e la parola, edito da Armando nel 2006. Nel 1992 realizzammo il documentario Come una ladra a lampo – La Madonna della Milicia, sul culto della Madonna ad Altavilla Milicia nei pressi di Palermo. Dalla ricerca fu tratto anche un volume, Come una ladra a lampo – Madonna della Milicia – sacro e profano, edito da Meltemi nel 1996 con un ricco corredo iconografico. Nel 2014, infine, abbiamo pubblicato il volume San Gennaro. Viaggio nell’identità napoletana, edito da Armando con un DVD allegato contenente fotografie e filmati girati da Cesare Ferzi. Come già accennato, tutti questi lavori sono stati da noi presentati e discussi in molte sedi di promozione scientifica e culturale, tra cui vorrei ricordare la rassegna MAV Materiali di antropologia visiva (di cui si parla anche in un’altra parte di questo numero di Voci) curata da Diego Carpitella, con cadenza biennale, presso il Museo nazionale delle arti e tradizioni popolari a Roma. Con Carpitella nel 1980 partecipai a Parigi, su invito di Enrico Fulchignoni, al convegno Filmer le monde rural con interventi pubblicati nel volume Cinema e mondo contadino. Due esperienze a confronto: Italia e Francia, pubblicato dall’editore Marsilio nel 1982.
Mi sto soffermando su tali dettagli, correndo consapevolmente il rischio dell’enfasi narcisistica, perché penso che essi possano essere utili a chi voglia ricostruire la storia dello sviluppo di questo specifico ramo della scienza antropologica che in Italia conosce un’indiscutibile vitalità e per la quale, quindi, mi sembra che la parte monografica curata, con il rigore che gli è proprio, da Antonello Ricci intende dare il suo contributo.
Come in ogni altro numero sono presenti, poi, le sezioni “Si parla di…” con saggi critici su vicende accademiche d’oltreoceano (Bellomia), sulla memoria e sulla storia letteraria di altri paesi (Cappello), su riflessioni critiche riguardanti iniziative di antropologia visiva italiane (Milicia, Ranisio), su ricerche sociali ucraine (Mykhaylyak), su forme espositive delle fotografie di grandi fotografi come Salgado e Cartier-Bresson (Ricci), sino a una nota critica sul Museo di vie e storie a Vicovaro recentemente inauguratosi (Silvestrini). Le recensioni danno conto di alcune pubblicazioni apparse recentemente, come il notiziario da conto di alcune iniziative svoltesi durante l’anno.
Questo, analiticamente, il numero che chi ha l’onore di dirigere la rivista e la redazione tutta, a partire dal coordinatore Antonello Ricci, intendiamo proporre all’attenzione dei lettori, il cui consenso ci è assolutamente indispensabile per mantenere il livello già raggiunto dalla rivista e il riconoscimento che internazionalmente le viene tributato.

ETNOGRAFIE VISIVE NELLA RICERCA ANTROPOLOGICA
CONTEMPORANEA: CINEMA, VIDEO, FOTOGRAFIA,
REALTA' VIRTUALE

a cura di Antonello Ricci

Passaggi

Miscellanea

Abstract
The present work arises from an ethnographic investigation reached on the film set of Michelangelo Frammartino’s movie, Le quattro volte (The four times). At that time my intention was to rebuild the profilmic environment though the voices of local people engaged in the film making. The meeting of local people and film crew produced dynamics of peculiar reciprocity, showing complex relationship between productive, stylistic and collective processes. The definitive movie is the result of a complex stratification of multiple imaginations including the author’s and the indigenous ones. This consideration suggest to deep different theoretical elements: a different relationship between cinema and land, the aptitude to emphasize the minorities, the respect of traditional knowings, the care of not influencing the reality, the reserved research of the secret of the things, the idea of a cinema where man is cognitive reallocated, etc. In particular, the director’s obstinacy for an ethnographic method used before shooting justifies my research project, which has the aim to study this unusual movie born directly from places offering itself as “subject’s hermeneutics”. This one suggests unusual connection between art and scientific research.

Key words:

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Abstract
Trying to build the theoretical foundations that ensure correct reading and correct use of Photography in the ethnographic and anthropological practice, it needs to remember two frameworks: one, on the rather cultural side, invoked when the photographs are questioned as concrete objects, in the ethnographic field; the other, on the more properly social side, invoked when the medium is put in the spotlight, in its historical action. The two frameworks lead to consider the photograph as a thick description and the Photography as a device. In this paper, with many references to the medium employed as a source and document, attention is paid to the first of the remembered conceptual frameworks, which leads us to consider the photograph as a thick description.

Key words:

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Abstract
In this conversation Steven Feld (University of New Mexico, USA) and Antonello Ricci (“Sapienza” Università di Roma) discuss the four hour-long films that comprise the Jazz Cosmopolitanism in Accra series. Feld presents his ideas of “dialogic editing” and “dialogic auditing” as refinements of the playback and feedback methods he learned in the 1970s as a student of Jean Rouch. Feld and Ricci discuss and analyze the audio-visual methods and theory informing the Jazz Cosmopolitanism in Accra series. Their conversation reveals how a practice of collaborative ciné-ethnography was developed over ten years in these four stylistically diverse films about contemporary musical life in Accra, Ghana.

Key words:

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Abstract
In this article, I aim to explain how the use of audio-visual tools in the ethnographic research is not separable from the action of the researcher’s body and, therefore, also thanks to the “turns” that anthropology has taken in the last decades, the contemporary visual ethnography cannot longer be conceived merely as “work of the eye”. Moreover, in the history of the practices of visual ethnography the author’s subjectivity, embodied and expresses by his/her body, has been more and more evident and used to sensorialize the vision, moving from the “objectifying” gaze of the positivist approach to the “subjectivated” gaze, and to the employment of an anticartesian and ecological perspective in which “subject” and “object” are intertwined and connected to the environment. In the final part of the article I try to show how the recent “wearable technologies” emphasize the ecological approach and modify the statute of the video camera from tool to intraneous body.

Key words:

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Abstract
The essay accounts for the results that have been achieved during a Visual Anthropology research applied to a museum-based communication. Over the last few years, the latter has undergone to a real revolution that has brought its traditional methodology into discussion. Given this background, the essay is a reflection which starts from real experiences that have taken place over a long period of time in different disciplines and different staging contexts. This period of time has also given us the possibility to make tests and go through confirmation processes, which is at the core of a scientific approach. I believe that it is on this ground, and not on a generic reasoning, that we need to reflect, giving our subject the chance to gain significant portions of territory with respect to other disciplines’ egemony. It is good, indeed, that other subjects such as archaeology or history of art have used the methodology and techniques of Visual Anthropology to reach the revolution mentioned above. For this reasons, the essay takes us, room by room, through a guided tour of the Herculanense Museum in its new form, recently reinvented with the help of multimedia technologies. The review of the five different multimedia stagings displayed in the museum gives us the possibility to make a double reflection. On the one side, it will be possible to test, through real realizations, some examples of the contemporary museum-based revolution; on the other side, we will be able to rebuild the theoretical-practical paths that are behind those results. A kind of brief story of the multimedia revolution whose phases, methodological references and concrete realizations are accurately accounted for.

Key words:

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Abstract
In visual anthropology research – especially in ethnographic film realization – the reflexive approach was ahead of the rest of anthropological studies and had important consequences for the development of the discipline. However this precocious contribution was not properly evaluated. The filmic anthropology requires the researcher some methodological issues concerning the presence of speech, both during the field research and during the shooting, and, finally, during the editing. Particular attention must be paid to the relationship between “filming” and “filmed”. Other questions concern the possible presence of sound technicians, interpreters and the resulting problems derived by a possible translation. The author reflects on these problematic issues starting from her filmic research experiences conducted on different terrains and in different periods of time. In ethnography it is difficult to give up the interview. In particular, the filmed interview makes clear the relationships that are built on the field and their consequences. Profilmic aspects of spoken communication must be taken into account; in the same time it is necessary to consider the links between images, narration and sounds of the environment: they affect the quality of audiovisual documentation. Another method of filmic approach may provide for restriction of speech between anthropologist-filmmaker and filmed subjects: the ethnographic positive result is a higher frequency of dialogues between the protagonists.

Key words:

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Abstract
In 1906, Luigi Amedeo of Savoy, Duke of Abruzzi, led an expedition to the summit of the Rwenzori, never climbed by a European before. Vittorio Sella, the Duke’s official photographer, documented the entire travel through photographs. Coming from an important industrial family of Biella, Sella marks the shift from an exclusively professional photographic practice (which was typical of the Eighteen century), to a wide spread diffusion of this technique among the growing bourgeoisie of the unified Italy. Images express the most important themes characteristic of that period: the enthusiasm towards scientific and technological progress and for the extraordinary mobility granted by the new communication systems, the curiosity for extra-European worlds framed in the colonial order. The photos of the expedition tell the story of the encounter with the population of East Africa and Uganda, recently subjected to the British Protectorate. In the “contact zone” (Pratt 2008), Sella realizes a visual representation of the territory and its inhabitants that on one side appears to be functional to its imperial appropriation, but on the other escapes the iconic canons typical of contemporary anthropology, which in Italy was dominated by a racial paradigm embodied in anthropometric photography. On the contrary, Sella depicts sophisticated human and natural landscapes, with all their complexity and fascination.

Key words:

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Abstract
In this paper, relationships among ethnography, cinema, narrative and memory are taken into consideration. These elements are intertwined in a research path of filmic anthropology, in which the protagonist is a Calabrian shepherd who present the story of his life. In this work I hypothesized to activate the “anachronistic” nature of ethnographic object-subject: carrying out – as George Didi-Huberman writes – “an extraordinary assembly of heterogeneous times”. I chose to use cinema as a narrative form suitable to synthesize the experience, working through the creative process of editing, in order to bring out chronological relationships and stratifications of the narrative, to activate the temporal gates which are opened by the mechanisms of memory, to connect the complex plot of the present to the past. Ethnography and story are-in this sense-complementary: they feed off each other giving rise to a narrative ethnography and an ethnographic narrative. Both flow into the project of filmic ethnography that is described in this paper.

Key words:

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Abstract
In an interview, conducted in December 2014, Antonino Buttitta traces the origins of Visual Anthropology in the Sicilian area, starting from the interest and the work of Giuseppe Cocchiara, one of the first to open up to the discovery of the visual cultures, following training experiences carried out in England at the Marett's School. The development of documentary film which took place in Palermo thanks to the displacement of the documentary film courses operated by the Experimental Center for Cinematography of the National School of Film in Rome, fueled a fruitful educational and cultural season in the field of anthropological and ethnographic film production, also supported by the presence of many anthropological disciplines at the University of the Sicilian capital. The interview also addresses a specific reflection on ethnographic photography, visual cultures, and the place they occupy today in anthropological research.

Key words:Buttitta, visual anthropology, visual ethnography, photography, Sicily

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Camera Oscura

Abstract
This paper analyses the significance of development strategies in the process of integration of different migrant communities in urban contexts. This is a challenge for the destination societies, since the new habitants should be incorporated in the local contexts. On the basis of the case study of the Bulgarian community settled in Valladolid, we will explore on the one hand the integration process, considering that the public promotion of migrants associations contributes to the development of migrants’ hierarchies based on the negotiation of participation and power rates, and on the other how are they related to the management of the identity of the groups. Therefore, the intercultural discourse promoted by the city council affects the community since they take ownership of its narratives. Accordingly, they radicalize their expressions from the internal homogenization to the external differentiation. Furthermore, we will explain the influence of these integration processes in the redefinition of centre and periphery in the urban context by the participation of these new social actors in the collective dynamic. Consequently, the migrants’ participation in the urban ritual enables their integration through their contribution to the symbolic construction of town.

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Abstract
In 2011 the Geological Society of America titled its conference From Archean to Anthropocene: The past is the key to the future. The international geology is working for a ratification of the Anthropocene as a unit in the Geological Time Scale. The Anthropocene is increasingly entering in the space of public structures becoming a notion able to define and witness the transition to a new era in the history of the Earth: a time in which the human being is considered a determinant geological force. Earth becomes a space of memory and narrative, a place where it is necessary to look ant preserve the traces of a past creative power of Nature. The idea of a geoheritage is emerging through a new category of significant spaces: the geosites, living and emerging points of an heritage and memory system. The paper proposes a study of this new idea of heritage as it takes shape in the Parco Regionale della Vena del Gesso Romagnola (Park of the Gypsum Vein of Romagna), in northern Italy. Rocks, faults, fossils, caves and other geological objects become powerful entities able to evoke and materialize – through the stories of places – new cosmographies that recall distant times and places. Through the geological stories, gypsum, as rock, becomes the narrative incipit and renewed perspective on the entire geo-historic Mediterranean space: it reverberates a new ecological morality based on memory which has turned into stone.

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Abstract
This study proposes a summary of several research projects on the use of small devotional images (prayer cards) for therapeutic purposes. This practice is related to the thaumaturgic power attributed to the images of worship present in sanctuaries, of which the prayer cards are considered an extension. The first documentation of a personal use of prayer cards, also connected to forms of medical prescription, dates back to the 17th century. The phenomenon spread at a time in which the development of printing techniques allowed the reproduction of images at a low cost, beyond the reach of ecclesiastical authorities. The documents used are taken from narrations dating back to the mid-17th century and from studies carried out in Campania, Basilicata, Puglia, Molise, Lazio, Umbria and Marche.

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Si parla di...

Abstract
Renato Boccassino (1904-1976) was an Italian Ethnologist who was mainly active in the period between the two world wars and in the first decades after World War II. In those years his figure is related to a radical Catholic point of view in ethnology which was encouraged by the Vatican and was oriented by the German scholar Father Wilhelm Schmidt. From 1933 to 1934 Boccassino made a field research in Uganda among the acholi people, in the Nile basin, producing many documents such as papers, photos, notebooks, letters. In 2006 these documents were donated to the Istituto centrale per il catalogo e la documentazione (ICCD) of the Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo by his daughter Maria Boccasino and they constitute the Boccassino fund in the Gabinetto fotografico nazionale Archivio fotografico there. The work which is presented here is a first approach to the fund and concerns the photographic part, a selection of which is reproduced in this section Camera oscura. It consists of three papers: M. Coppola, Renato Boccassino. Un profilo biobibliografico; E. Musumeci, L. Petrone, Il fondo Boccassino dell’Istituto centrale per il catalogo e la documentazione: un’introduzione; A. Ricci, Le fotografie di Renato Boccassino della spedizione tra gli acioli in Uganda: prime considerazioni.

Key words: Renato Boccassino, Uganda, Acholi, ethnography in archives, ethnographic photography

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Recensioni

Alberto Alonso-Ponga García, Profesor Asociado de la Universidad de Salamanca. Licenciado en Filosofía y en Antropología Social y Cultural, Premio Extraordinario Fin de Máster de Antropología Aplicada, Salud y Desarrollo Comunitario. Investiga sobre los Balcanes, migraciones, identidad y desarrollo comunitario. Es miembro de la Association for the Balkan-Baltik International Studies (Sofia, Bulgaria).

 

Valeria Bellomia si laurea nel 2010 in Scienze Archeologiche e Storiche, presso la Facoltà di Lettere e Filosofia della Sapienza, Università di Roma, con una tesi sul sistema di scrittura del sito di Teotihuacan, Messico. Consegue nel 2013 una Laurea Magistrale in Scienze Archeologiche, nella stessa università, con una tesi sullo studio di due strumenti musicali mesoamericani, esposti al Museo Nazionale Preistorico Etnografico “Luigi Pigorini” di Roma. Dal 2011 collabora con lo stesso museo come operatore didattico e consulente scientifico editoriale del bookshop, gestito da Espera, Libreria Archeologica. Nell’aprile del 2015 collabora all’allestimento della mostra temporanea Sogni del Rütrafe: ornamenti in argento dei Mapuche. Nel corso del 2015 partecipa al XXXVII Convegno Internazionale di Americanistica, a Perugia e al III incontro di studi di Archeologia e Antropologia a confronto, a Roma. Attualmente sta svolgendo la sua ricerca di Dottorato in Storia, Antropologia, Religioni presso la Sapienza, Università di Roma. Il suo tema di ricerca è lo studio degli strumenti musicali nativi americani conservati nei musei etnografici italiani, del loro contesto storico - culturale d’origine e della loro simbologia; della ricostruzione del loro percorso fino in Europa; delle politiche di acquisizione e valorizzazione messe in atto in Occidente, confrontando la realtà museale nazionale con quella messicana; fino all’attuale ruolo di mediatori culturali che svolgono all’interno dei musei occidentali.

 

Andrea Benassi è dottore di ricerca in “Mito Rito e pratiche simboliche” presso la “Sapienza” Università di Roma. Attualmente svolge ricerca sulla costruzione dell’idea di “Natura” e sulle relative politiche ambientali nell’ambito delle aree protette; in particolare nel quadro teorico della multispecies ethnography. Sempre in questa prospettiva è parte del gruppo di lavoro: Thinking continental: surveying, exploring and inhabiting macro space coordinato da Susan Maher, University of Minnesota. In ambito nazionale si occupa, tramite ricerche sul campo, di museografia, percezione del territorio, antropologia del turismo e politiche del patrimonio. Lavora come esperto di beni DEA per conto di Regione Lazio e Regione Emilia Romagna. Nel passato ha svolto ricerche nel sud est asiatico con particolare attenzione al rapporto tra minoranze etniche e mondo contemporaneo, anche in collaborazione con la cattedra di Religioni dei popoli primitivi della “Sapienza” Università di Roma. Ha lavorato come antropologo per conto della missione IsIAO in Baltistan (Pakistan) sul rapporto tra politiche ambientali e comunità locali. Membro della SIEF (Société Internationale d´Ethnologie et de Folklore) e socio fondatore della SIMBDEA (Società Italiana per la Museografia e i beni DemoEtnoAntropologici).

 

Maria Luisa Cappello laureata sia in Italia che in Francia in Lingue straniere, già ricercatore in università italiane si è occupata di lingua, letteratura e cultura francese. In ambito letterario ha approfondito la letteratura francese del XIX secolo e in particolare gli scambi epistolari tra letterati di cui ha pubblicato numerosi inediti: Louis Bouilhet et les frères Goncourt: relations épistolaires et littéraires (lettres inédites), 1994; Louis Bouilhet, Lettres à Gustave Flaubert, texte établi, présenté et annoté par Maria Luisa Cappello, 1996; Un biglietto inedito di Baudelaire a Louis Bouilhet, 1996. Nel campo della glottodidattica è autrice di saggi sull’insegnamento del francese, soprattutto dal punto di vista storico presentati in convegni internazionali: Le rôle de l’enseignement des langues vivantes depuis la Scuola Superiore di Commercio con Banco-modello (1875) jusqu’à la Facoltà di Lingue Straniere (1969) à Bari (Italie), 1994; Les professeurs italiens face aux innovations de l’A.P.I., 1996. In veste di traduttore ha collaborato con il Centro Interuniversitario sul Viaggio Adriatico pubblicando resoconti di viaggio: Comtesse de La Morinière de La Rochecantin, Croisière en Adriatique et en Méditerranée, 2009; C. Bobba, Souvenirs d’un voyage en Dalmatie, 2011.

 

Maurizio Coppola, ha studiato Sociologia ed Etnologia all’Università di Napoli “Federico II”. Dal 2011 svol- ge un dottorato in Antropologia ed Etnologia all’École des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi. Ha collaborato al volume di Enzo V. Alliegro, Antropologia italiana. Storia e storiografia (1869-1975), 2011.

 

Maria Faccio è laureata in Discipline Etno-Antropologiche presso l’Università Sapienza di Roma ha conseguito il dottorato in Il cinema nelle sue interrelazioni con il teatro e le altre arti presso l’Università Roma Tre (Dams). È impegnata in campo cine-audiovisivo come analista di Film Commission e videomaker/ editor. Con il cortometraggio Fantasme vince nel 2001 il primo premio al Festival internazionale per le arti visive T.A.V. di Terracina (RM); nel 1999 con So’… fritto riceve il premio per la migliore sceneggiatura al concorso nazionale Corti e Maledetti di Bari (giuria presieduta dal regista Citto Maselli); con Sessanta secondi senza vergogna arriva finalista nel 1997 al festival di cortometraggi organizzato dalla regista Roberta Torre e dal giornalista Marco Olivetti a Palermo. Per diversi anni, partecipa al Bif&st di Bari in qualità di giurata della sezione documentari. Pubblica nel Catalogo MAV 2010 e 2012 (Materiali di Antropologia Visiva) rispettivamente le schede sui documentari etnografici Maria, una comparsa di Mesagne e Il Traino. Tra le sue pubblicazioni: Il territorio, le Film Commission e il cinema di oggi in M. M. Gazzano, S. Parigi e V. Zagarrio (a cura di), Territori del cinema italiano – Produzione, diffusione, alfabetizzazione, 2013; Michelangelo Frammartino. L’epistemologia del “dono” per un’“ermeneutica” del paesaggio (in c. d. s.).

 

Francesco Faeta insegna Antropologia culturale e Antropologia visuale presso l’Università degli Studi di Messina. Ha tenuto cicli di seminari e conferenze, presso numerose istituzioni universitarie in Italia e all’estero, tra le quali l’École Pratique des Hautes Études della Sorbona, a Parigi, le Università di Valladolid, e de La Curuña, in Spagna, la Columbia University a New York. Presso l’Italian Academy for Advanced Studies della Columbia University è stato associate researcher ed è fellow. Dirige, per l’editore Franco Angeli di Milano, la collana Imagines. Studi visuali e pratiche della rappresentazione. Tra le sue opere più recenti, Le ragioni dello sguardo. Pratiche dell’osservazione,della rappresentazione e della memoria, 2011. Una sua raccolta di saggi sta per apparire presso l’editore San Soleil, Buenos Aires-Madrid.

 

Steven Feld is Distinguished Professor of Anthropology Emeritus at the University of New Mexico, USA. His research on the anthropology of sound and acoustemology has ranged from birds in rainforest Papua New Guinea to bells in European villages to jazz and car horns in urban West Africa. His multmedia Jazz Cosmopolitanism in Accra project equally consists of a book, four feature length films, and ten CDs.

 

Francesco Marano insegna Antropologia visuale, Etnografia e Antropologia delle culture alimentari all’Università della Basilicata. Suoi temi di ricerca sono l’antropologia visuale, i rapporti fra arte e antropologia, la metodologia etnografica, le storie di vita e le autoetnografie, le feste religiose e l’etnografia delle pratiche di cucina domestica. Fra le sue pubblicazioni vi sono Camera etnografica. Storie e teorie di antropologia visuale, 2007; Il film etnografico in Italia, 2007; L’etnografo come artista. Intrecci fra antropologia e arte, 2013; Mappare. Arte Antropologia Scienza (a cura), 2013; Fare a occhio. Antropologia della cucina in Basilicata, 2015. Dirige la rivista “Visual Ethnography” (www.vejournal.org), cura la collana “Walking on the Line” per Altrimedia Edizioni e il sito web Visualanthropology.net. Inoltre è autore di documentari etnografici selezionati e proiettati in festival internazionali del film etnografico.

 

Lello Mazzacane è ordinario di Storia delle tradizioni popolari e di Antropologia Visuale presso il Dipartimento di Scienze Sociali dell’Università di Napoli “Federico II”. È stato tra i fondatori in Italia della Visual Anthropology, dedicandosi sin dai primi anni ’70 all’impiego delle tecnologie audiovisuali nella ricerca demo-antropologica. Ha fondato e diretto dal 1975 la struttura di Ricerca e Produzione audiovisiva Nuovo Politecnico che ha svolto una intensa attività di sperimentazione e innovazione dei linguaggi multimediali. Ha costituito negli anni uno dei più vasti e documentati archivi fotografici esistenti sulla cultura e sulle feste popolari dell’Italia meridionale: sue collezioni parziali sono custodite presso Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari, Roma; Cabinet des estampes de la Biblioteque Nationale, Parigi; Archivio della Comunicazione dell’Università di Parma, e altri. Già direttore del Centro interdipartimentale di ricerca audiovisuale dell’Università Federico II di Napoli, ove sono presenti 15 Archivi multimediali, ha ideato e diretto numerosi progetti sperimentali per Rai Educational dal Progetto Siena al Progetto Idea, dalle Mostre impossibili al Portale della Cultura della Regione Campania. Tra le sue più recenti realizzazioni museali: le installazioni dell’Herculanense Museum e il Museo della Ceramica di Cerreto Sannita. Tra le sue pubblicazioni più note: Perchè le feste, 1974; I Bassi a Napoli, 1978; Lezioni di fotografia, 1983; Struttura di festa, 1985; La cultura del mare nell’area flegrea (a cura di) 1989; tra i saggi pertinenti ai temi trattati: I linguaggi multimediali e la Rete. Nuove frontiere della comunicazione multimediale, in AA. VV. Museo e cultura, 2002; Dalla collezione alla Rete, dal museo al territorio in Aldo e Lello Mazzacane (a cura di) Museo della Ceramica di Cerreto Sannita. La collezione Mazzacane, 2012.

 

Maria Teresa Milicia è ricercatore e professore aggregato di Antropologia culturale presso il DiSSGeA (Dipartimento di Scienze Storiche, Geografiche e dell’Antichità) dell’Università di Padova. I principali interessi di ricerca sono la storia dell’antropologia razziale e il razzismo scientifico, le pratiche simboliche e politiche nella produzione delle identità locali. Ha svolto ricerche etnografiche in Calabria e in Campania nei luoghi di apparizioni mariane. L’attuale ricerca multisituata sul movimento neo-meridionalista di protesta “No Lombroso” comprende la web ethnography dei social media, le politiche museali di restituzione dei reperti umani e i processi di patrimonializzazione in atto nel comune calabrese di Motta Santa Lucia. Fra le pubblicazioni recenti: “Forging the New World”: an Anthropological Gaze into La Difesa della Razza Panopticon, 2013; Oltre il cancello. Conflitti e strategie patrimoniali in un luogo di culto mariano, 2014; Lombroso e il Brigante. Storia di un cranio conteso, 2014; La protesta “No Lombroso” sul web. Narrative identitarie neo-meridionaliste, 2014.

 

Elena Musumeci si è laureata presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Roma “La Sapienza”, Dipartimento di Studi Storico-Religiosi. Si è specializzata come archivista presso la Scuola speciale per archivisti e bibliotecari della stessa università. Si occupa di tematiche inerenti alla preservazione della memoria storica attraverso la tutela e la valorizzazione del patrimonio archivistico e documentario, in particolar modo del patrimonio fotografico e audiovisivo derivante da attività di ricerca etnografica. Attualmente collabora con l’Archivio storico dell’ICCROM (International Centre for the Study of the Preservation and the Restoration of Cultural Property). Ha pubblicato: L’archivio Audiovisivo dell’ICCROM: un progetto per la sua salvaguardia e valorizzazione, 2013; Identità Nazionale e questione delle minoranze in Laos, 2014.

 

Tamara Mykhaylyak, seguendo la propria famiglia in Italia, rimane affascinata dalla cultura e dalla storia di questo paese. Decide, quindi, di rimanervi e si laurea presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II Facoltà di Sociologia, dove attualmente sta conseguendo il Dottorato in Sociologia e Ricerca Sociale. Nel corso degli studi, tornando alle sue origini e alle tradizioni della sua terra: si dedica allo studio dei documenti visivi, in particolare le foto di famiglia in Ucraina. In seguito focalizza l’interesse sulla storia della fotografia russa e sulle origini dell’Antropologia visuale in Russia, cercando di individuarne i principali esponenti e di definirne i primari orientamenti di ricerca.

 

Silvia Paggi è professore di antropologia filmica e comunicazione visiva all’università Nice-Sophia Antipolis.

Antropologa-cineasta formatasi con Jean Rouch e Claudine de France, realizza dal 1985 film etnografici legati alla ricerca sul campo in Italia, Costa d’Avorio, Samoa, Francia, Spagna, Portogallo, Ungheria, Inghilterra e Romania.

I principali temi trattati sono: la vinificazione tradizionale alle isole Eolie, la memoria di un massacro nazista in Italia, lo spazio domestico e le attività quotidiane, i comportamenti di musica e danza tradizionali, le tecniche del corpo e le situazioni non formalizzate di trasmissione di savoir-faire. Le ricerche tutt’ora in corso si svolgono nell’ambito di un progetto europeo sulle condizioni d’abitazione dei Rom. Pubblica, soprattutto in francese, su aspetti metodologici dell’antropologia filmica e sulle proprie ricerche.Principali pubblicazioni in italiano:L’antropologo-cineasta, 1987; Alfred Bollinger fotografo a San Gimignano, 1990; Strutture Multimediali, 1996; Civitella 1994/1994 – Memoria di un massacro, video allegato a Storia e memoria di un massacro ordinario, 1996; Commento a l’antropologia filmica di Claudine de France, 1996; Osservazione partecipante, 2006; Antropologia filmica dello spazio domestico (in c. d. s.).

 

María Jesús Pena Castro, Profesora de la Universidad de Salamanca. Licenciada en Sociología y Ciencias Políticas Ciencias Políticas y Sociología. Doctora en Antropología. Ha realizado extensos trabajos de campo sobre Timor Leste e Indonesia. Investiga sobre género, patrimonio cultural, identidad y desarrollo comunitario. Es miembro de la Association for the Balkan-Baltik International Styudies (Sofia, Bulgaria).

 

Cecilia Pennacini insegna Etnologia e Antropologia visiva presso il Dipartimento Culture, Politica e Società dell’Università di Torino. Dal 1988 svolge ricerche nella regione africana dei Grandi Laghi (in particolare nella Repubblica Democratica del Congo, in Burundi, in Tanzania e in Uganda) su temi relativi all’antropologia visiva, simbolica e religiosa e allo studio del patrimonio culturale. Dal 2004 dirige la Missione Etnologica Italiana in Africa Equatoriale (Ministero degli Affari Esteri). Ha pubblicato numerosi articoli scientifici e volumi, tra cui Kubandwa. La possessione spiritica nell’Africa dei Grandi Laghi, 2012), Filmare le culture. Un’introduzione all’antropologia visiva, 2004), e ha realizzato diversi documentari etnografici tra cui Kampala Babel (Archivio Nazionale Cinematografico della Resistenza con il sostegno di Piemonte Doc Film Fund, 2008).

 

Laura Petrone consegue la laurea specialistica in Italianistica presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli studi “Roma Tre”. Dopo esperienze nell’ambito della conservazione dei beni culturali e di ricerca storica, si iscrive alla Scuola di specializzazione in “Beni archivistici e librari” dell’Università di Roma “La Sapienza” che concluderà con una tesi in archivistica sul fondo Boccassino. Si occupa di problematiche legate alla gestione, valorizzazione, tutela e conservazione del patrimonio archivistico.

 

Gianfranca Ranisio è professore straordinario di Antropologia Culturale presso il Dipartimento di Scienze Sociali dell’Università di Napoli “Federico II”. Ha studiato l’intersecarsi delle tappe biologiche femminili con le rappresentazioni simboliche e culturali che le sostanziano. I suoi lavori si collocano nel punto di intersezione tra l’antropologia culturale, l’analisi delle tradizioni demologiche, l’antropologia medica e i gender studies. È coordinatrice dei due master sociosanitari presenti presso il Dipartimento di Scienze Sociali. Tra le sue pubblicazioni: Il lupo mannaro. L’uomo, il lupo, il racconto, 1984; Venire al mondo. Pratiche, crede ze e rituali del parto, 1998; La città e il suo racconto, 2003; Quando le donne hanno la luna. Credenze e tabù, 2006; con C. Simone, Oltre le convenzioni. La cooperazione di medicina generale nell’esperienza del Sannio campano, 2010; Culture della nascita. Orizzonti della maternità tra saperi e servizi, 2012.

 

Antonello Ricci, professore associato con abilitazione di prima fascia, insegna discipline Demoetnoantropologiche presso il Dipartimento di Storia, Culture, Religioni, nei corsi di laurea triennale in Storia, Antropologia, Religioni e Arti e scienze dello spettacolo, magistrali in Musicologia e in Discipline etnoantropologiche, nella Scuola di specializzazione in Beni culturali demoetnoantropologici, “Sapienza” Università di Roma. Conduce ricerche sul campo nel Centro e Sud Italia su temi riguardanti le culture pastorali, l’ascolto, la museografia etnografica, l’etnografia visiva, l’antropologia dei suoni, gli eventi festivi e cerimoniali. Tra le sue ultime pubblicazioni Antropologia dell’ascolto, 2010; Il paese dei suoni, 2012; Suoni e memoria: un’etnografia complessa, 2015.

 

Elisabetta Silvestrini, nata a Roma, ha lavorato come funzionario demoetnoantropologo nel Ministero per i Beni, le Attività Culturali ed il Turismo dal 1980 al 2013. Dal 2001 al 2010 ha lavorato presso l’Università Ca’ Foscari Venezia come docente di discipline antropologiche; dal 2012 ad oggi presso l’Università di Macerata, come docente di Antropologia Culturale; dal 2011 ad oggi presso la Scuola di Specializzazione in Beni Culturali Demoetnoantropologici dell’Università di Roma “Sapienza”. È vicedirettore della rivista scientifica “Erreffe” (La Ricerca Folklorica). I suoi interessi di ricerca riguardano la cultura materiale, l’antropologia dell’abbigliamento, l’antropologia delle immagini, la “cultura della piazza”, l’antropologia storica, l’antropologia religiosa, prevalentemente in area italiana. Recenti pubblicazioni, come autrice e come curatrice: Gente del viaggio, 2000; Spettacoli di piazza a Roma, 2001; Abiti e simulacri, 2003; Abbigliamento popolare e costume della Brianza, 2010; Simulacri vesti devozioni, 2010; Acque, pietre, fuochi, alberi. Rituali terapeutici nei santuari e luoghi di culto nel Lazio, 2014; con M. D’Amadio, Confini, toponimi, luoghi stregati. Leggende e narrazioni a Licenza e Civitella, 2014.

 

Vincenzo M. Spera, ordinario di Storia delle tradizioni popolari nell’Università del Molise. Nel 1988 è nell’Università di Siena. Dal 1996 al 2013 insegna anche nell’Università degli Studi “S. O. B.” di Napoli. Socio dall’AISEA dalla fondazione; membro del comitato scientifico del Réseau EURETHNO de la F.E.R. du Conseil de l’Europe; membro della consulta scientifica della F.I.T.P. Ha condotto ricerche su feste tradizionali e folk revival, sacre rappresentazioni, carnevale, cerimoniali del Maggio e della mietitura, sulle pratiche delle modificazioni del corpo. Aree di ricerca: Basilicata, Puglia, Molise, Umbria, Calabria settentrionale, parte della Campania, del Lazio e Cipro. Parte delle ricerche sono in monografie e articoli in volumi e riviste in Italia, Belgio, Brasile, Finlandia, Francia, Giappone, Messico, Portogallo, Romania, Serbia, Spagna.